mercoledì 5 marzo 2014

Natal'ja Georgievna, la Nonna-patria

Pochi dimostranti contro la guerra a Mosca, domenica 1500 persone sono scese in piazza. Molta polizia e molti fermati. Ecco il commento di una giornalista sul suo blog.
Natal'ja Georgievna
Ieri in piazza Manežnaja ho conosciuto alcune nonnine. Veramente, fra i trecento moscoviti usciti a protestare contro la guerra in Ucraina, la maggior parte erano giovani (quasi adolescenti) e nonnine. Ce n'era una con le stampelle, che pare partecipi a tutte le manifestazioni democratiche. Un'altra, col bastone, avanzava zoppicando tra i ranghi delle forze speciali e piangeva al telefono: «Oggi è la domenica del Perdono! Del perdono… E hanno preso mio figlio!».
Le nonnine, per nulla spaventate, non temevano di rilasciare un'intervista al canale NTV; gli altri scansavano le telecamere più velocemente di quanto avrebbero scansato la polizia. Gridavano «Vergogna!» quando la vittima di turno veniva trascinata sulla camionetta della polizia, passando accanto a loro.
Tutto sommato era uno spettacolo abituale. Degli agenti abbastanza gentili coi giubbotti antiproiettile che ogni tanto scambiavano battute sulla situazione politica, e ogni tanto spingevano la gente verso la metropolitana. I giornalisti erano più o meno quanti i dimostranti; si lanciavano come un branco a riprendere qualsiasi cartello e qualsiasi corpo trascinato via, schiacciandosi l’un l’altro. Talvolta sul luogo di una battaglia mancata capitavano per caso una famiglia con bambini, che non capiva nulla.
Forse non erano fermezza e dignità che si respiravano, ma smarrimento e orrore perché sembrava tutto un po’ assurdo, ma bisognava lo stesso scendere in piazza. Tutto diverso da com’era stato in piazza Bolotnaja, dove tutto era allegro e creativo, i cartelli erano un fiorire di citazioni e il futuro splendeva a tinte vivaci.
Un po’ di lato, vicino a una cancellata, c’era un’altra donna anziana. Molto anziana, vestita molto poveramente. Con il volto bello e afflitto, reggeva un cartello che recitava «No all’intervento in Crimea, non scatenate una nuova guerra!», guardava dritto davanti a sé, ed effettivamente era del tutto isolata. Non le si avvicinava nessuno, la polizia non cercava di portarla via. Proprio per questo l’aveva scelta come vittima un omone robusto, un provocatore in borghese.
-Nonna, parla ucraino?
-No.
-Allora non deve stare qua. Mykola, sai come chiamano i russi il vostro grasso? Cellulite.
Lei non si era mossa, stava dritta in piedi e guardava. L’omone le ha ripetuto la barzelletta. Mi sono avvicinata e ho detto:
- Lasci stare la nonna.
Lui ha ripetuto a me la battuta. Si vede che in ufficio gli avevano consegnato una sola munizione.
- Lasci stare la nonna.
- Mykola, lo sai…
Sentivo che l’avrei colpito. Ma dei ragazzi lì vicino si sono accorti della situazione, e hanno gentilmente portato via il tipo. E la nonnina ha detto:
- Non sono mai stata in una camionetta della polizia. Se stai buono e tranquillo non ti prendono. E io sto tranquilla. Il suo sguardo è tornato a fissare lontano.
Lei non salverà niente, non cambierà niente. Mia figlia non troverà i sassi col buco sulla spiaggia di Koktebel’. Il rublo è già crollato, le spiagge di Antalia ci mostrano i denti, su internet la guerra civile va molto più veloce dell’intervento in Crimea.  Invece che centinaia di migliaia, sono scesi in piazza un centinaio di moscoviti. Ma la nonna con l’indice del guanto lacero, rimane lì, tiene il cartello e guarda lontano. Nel punto dove sfreccia una colonna di auto tedesche e giapponesi con degli striscioni: «Non abbandoneremo i nostri!».
Ho pensato che la madre-patria non somiglia a un’immensa donna di pietra. Qui bisogna scegliere: o la madre, o la donna di pietra. Io scelgo la nonna-patria. A proposito, la nonnina si chiama Natal’ja Georgievna. Ha detto che il suo problema principale non è la pensione magra, ma il fatto che non c’è libertà. 
Ol’ga Bakušinskaja
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